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Il Perdono: un atto di forza o di debolezza?

Categoria: Psicologia
Il Perdono: un atto di forza o di debolezza?

Le relazioni interpersonali che costituiscono una colonna portante della vita di ognuno, pur soddisfando il bisogno umano di affiliazione, sono anche la fonte di alcune tra le più dolorose ferite.
Quando una persona, significativa o meno, offende, delude o reca un qualsiasi danno succede, spesso e volentieri, di mettersi sullo stesso piano dell’aggressore, portando rancore, chiudendo i rapporti o, peggio ancora, ricercando vendetta. L’essere umano sembra avere una tendenza innata a ricambiare offese ed aggressioni con comportamenti ancora più aggressivi rivolti verso l’altro, ma anche verso se stessi.
In tutto ciò non possiamo negare, però, che una delle strategie sociali più usate per preservare o recuperare legami compromessi e con essi il benessere del soggetto sia il perdono.
Ma attenzione, non sottovalutiamo neanche che esso, se usato nel modo sbagliato, possa essere così positivo come molti credono. Mi spiego meglio. Innanzitutto capita di pensare che perdonare implichi mettere una pietra sopra all’evento facilitando la messa nel dimenticatoio di quest’ultimo.
È questa una grandissima “trappola mentale” che può finire per diventare una rampa di lancio per mettersi in una posizione o di onnipotenza (perdono e risolvo ogni cosa) o di impotenza (perdono intanto non ci posso fare niente).
Dovremmo concentrarci maggiormente a superare i risentimenti che ci pervadono, il che non significa negare di provarli. Lasciar correre è più importante rispetto all’avere uno sfogo di rabbia o di delusione? Assolutamente no! Ma a patto che la discussione sia costruttiva.
Per di più, dovremmo alimentare una condizione di costante rumuginio, ossia farci trascinare persistentemente da pensieri, immagini ed emozioni associate al danno ricevuto? Non fantastichiamo che tutto si risolva magicamente attraverso il semplice: ” io ti perdono”.
Perdonare non vuol dire condonare, giustificare, o divenire un mezzo per non affrontare il problema o utopisticamente per farselo scivolare addosso mettendo conseguentemente in primo piano meccanismi di difesa distruttivi quali la rimozione, la repressione o la negazione che alla lunga favorirebbero esplosioni o implosioni.
Chi pensa di voler usare il perdono deve per prima cosa entrare più profondamente in relazione con se stesso, senza illudersi di poter cancellare con un semplice atto o pensiero il proprio passato che, invece, deve essere accettato, elaborato e condiviso costruttivamente.
È qui che viene fuori la presa di responsabilità, il potere che si da al proprio Io, il coraggio di voltare pagina e di cambiare attivamente la propria vita. Ecco allora che non si cade nella trappola sopra citata ma ci si riconcilia nel limite del possibile con il nostro mondo interiore.

 

Dott. Barbabella Giuliano
Psicologo – Psicoterapeuta
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