L’attesa: un non muoversi o un muoversi meglio?
Categoria: PsicologiaQuanti di noi possono dire di saper aspettare? E quanti, allo stesso tempo, possono dire di essere capaci di rinunciare ad una gratificazione immediata? Nell’epoca della frenesia e del “tutto e subito” l’attesa è una delle condizioni percepite con maggiore disagio. Ogni situazione è a sé, ovvero, ci sono circostanze in cui il disagio dell’attesa è comprensibile poiché l’ansia è legata ad eventi drammatici come la malattia o l’esito di un esame diagnostico, ma, spesso e volentieri, si vivono con insofferenza anche momenti di routine quotidiana( come una fila che si protrae, come l’esito di un colloquio lavorativo o di un esame, come il traffico per andare da qualche parte) in cui, piuttosto che lasciarsi dominare dall’ansia e dal nervosismo, potrebbe essere utile approcciarsi a quella “pausa forzata” in modo diverso, cogliendola come opportunità per ascoltarsi e scoprire o riscoprire degli aspetti di sé che non riusciremmo a vedere in preda all’impazienza ed all’agitazione. In questi casi il “segreto” sta nella capacità di resistere alla tentazione di riempire a tutti i costi il “vuoto” che quell’attesa comporta. Con ciò parliamo del porsi nella dimensione del “non poter fare”, del “non poter intervenire”, della capacità di osservarsi ed osservare senza aspettative ed idee preconcette. Solo così potremmo trasformare un momento di stasi in un atto di attenzione verso noi stessi. Parliamo dell’affrontare quello stato di impotenza che consegue l’attesa che rappresenta in generale forse la condizione mentale più angosciante che ci si può presentare davanti. Naturalmente è da tenere presente che c’è anche chi rende la sua vita una eterna sala d’attesa in cui sogna o si rassegna di non essere in grado nel poter realizzare niente o aspetta che qualcuno o qualcosa possa agire al suo posto. Ma vegetare sperando in questo non ha per me nulla a che fare con la vera essenza dell’attesa, quella che richiede consapevolezza e costanza per scoprire le proprie potenzialità e coltivare i propri talenti e per dare modo ad una intuizione, un progetto, un sentimento, di prendere forma. Il saper attendere non significa aspettare passivamente, bensì in un modo attivo, per prepararci al meglio a quei compiti che la quotidianità ci pone di fronte e che molto di frequente richiedono di essere vissuti in profondità. Quando parlo di modo attivo non faccio riferimento alla realizzazione del piacere immediato per compensare l’angoscia dell’attesa, se non, paradossalmente, alla capacità del sapersi fermare. Proprio così: la capacità del sapersi fermare! Fermarsi non vuol dire esclusivamente non muoversi, ma muoversi meglio, poiché pure un’attesa apparentemente fastidiosa può favorire una riflessione utile ad un nostro miglioramento. Ecco allora che l’impotenza diviene potenza ed ecco che l’attesa stessa si può trasformare, da una condizione debilitante e distruttiva, ad una motivante e costruttiva in cui non ci si proietta necessariamente al futuro, dando, invece, rilevanza al qui e ora, all’oggi, al valore attribuito alle proprie scelte e di conseguenza a noi stessi. Al prossimo numero.