La libertà: un’altalena continua tra paura e desiderio.
Categoria: PsicologiaCari lettori, per caso conoscete qualcuno che non aspiri ad essere o sentirsi libero? Non credo di scoprire l’acqua calda affermando che la vera libertà non coincida con l’agire senza costrizioni o impedimenti esterni ma sia rappresentata dalla cosiddetta “libertà psicologica”. Con questo termine intendo tutto ciò che è inerente allo scegliere, all’essere responsabile delle proprie azioni senza percepirsi schiavi di un qualche proprio “blocco interiore”. Ma al contrario di quello che si può pensare non voglio, con questo articolo, mettere l’accento sull’importanza della libertà mentale di cui si è scritto e riscritto, bensì su un qualcosa di parimenti profondo: la paura della libertà. Si può realmente parlare di paura rispetto a quest’ultima? Certo che si può! Non fraintendiamoci. Il fatto che l’uomo provi un sentimento del genere rispetto a tale valore non significa affermare che si preferisca stare in catene. Significa, però, che, rispetto a siffatto concetto, si ha un atteggiamento ambivalente, contraddittorio. Da un lato la si smania, dall’altro la si teme. E per quale ragione l’uomo ha paura della libertà? Un aspetto preponderante non può venire rappresentato dal timore di perdersi, di smarrirsi? Abbandonare del resto il proprio porto (un porto sicuro come può essere, anche temporaneamente, un lavoro, un rapporto, una dipendenza, una quotidianità, persino un blocco psichico) e prendere il largo attrae ma incute paura: paura delle tempeste (possibili o probabili e quindi del naufragio), di non trovare più la rotta e, a quel punto, non solo di non riuscire a raggiungere la destinazione prefissata, ma di non riuscire neanche a tornare indietro da dove si è partiti. Colui che si ritiene libero è, pertanto, spesso e volentieri, proprio una persona che si aggira in un mare senza confini con lo sguardo di chi non sa dove andare, cosa fare, quale direzione seguire. E questo lo si può notare, ad esempio, nella gestione del tempo libero. Maggiore risulta quest’ultimo e maggiore, alla lunga, c’è la possibilità che possa presentarsi una qualche angoscia. Si guardino le persone che durante le vacanze si scoprono desiderare di tornare a lavoro o altre che dopo la pensione o dopo aver fatto una grande vincita al gioco o ancora dopo aver lasciato per loro giusti o meno motivi famiglia e realtà di ogni giorno allo scopo di rincorrere chissà che cosa, si destabilizzano totalmente cadendo in depressione o in un turbinio di ansie ricorrenti. Evidentemente tutto questo si, imprigionava, toglieva la libertà (almeno quella sognata), ma allo stesso tempo, era una struttura portante per il soggetto. Prigione e sicurezza come gabbia e protezione, come spesso accade per molte cose, assumono due facce della stessa medaglia. Da tutto ciò credo che sia lecito allora chiedersi se si possa superare la paura della libertà. Come? Cercando un ancoraggio all’interno del proprio io e, scusate il gioco di parole, trovando l’altro da sé dentro di sé, in modo da non sentirsi mai soli pure nella più perfetta solitudine esteriore. Il coraggio non è solo relativo al cercare a tutti i costi la libertà, ma nell’accettare di sentirsi liberi. Al prossimo mese.