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Com’era verde… il mio fiume.

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Com’era verde… il mio fiume.

Parafrasando il titolo del romanzo del 1939 di Richard Llewellyn, “Com’era verde la mia valle” e dal quale fu tratto il film omonimo in cui il protagonista Huw ritorna con la memoria a quando era ancora un ragazzo e viveva felice in un centro minerario, i ricordi tornano a rievocare l’aspetto gradevole ed appagante che caratterizzava il nostro fiume Paglia. Senza cedere al sentimentalismo al quale si abbandonano spesso gli anziani nel ripensare ai tempi che furono e senza voler demonizzare il presente, la nostalgia ci riporta al film “Treno popolare” del 1939 nel quale alcune sequenze lo vedono ricco di acqua, oppure a 30 – 40 anni fa quando le sue sponde erano sistematicamente gremite dai pescatori locali e forestieri, specie durante i fine settimana e poi un po’ sempre, anche nei periodi meno favorevoli.
Che è accaduto al nostro fiume un tempo meta di tanti pescatori sportivi e degli amanti della natura? Innanzitutto, purtroppo, è peggiorata la qualità delle sue acque e questo, pur deprecabile, è un fenomeno che caratterizza un po’ tutte le acque e, comunque, volendolo, potrebbe essere un male ancora risolvibile. Il dato peggiore riguarda il suo essere “fiume” nel vero senso della parola, dato che ha mutato completamente il suo aspetto per interventi effettuati in modo poco mirato che hanno completamente stravolto l’ecosistema e quindi l’habitat. Vediamo cosa è cambiato rispetto ai periodi in cui poteva a buon diritto essere definito un bel fiume, da tutti i punti di vista. Innanzitutto, sia nel Paglia che nel fiume Chiani (di cui alleghiamo un fermo immagine dal film “Treno popolare del 1933), sono scomparse le sue riserve d’acqua che erano costituite dai cosiddetti “borgoni”, delle fosse molto profonde che si creavano in corrispondenza dei gabbioni, i rinforzi in pietra e rete che venivano allestiti per difendere le sponde dalle erosioni delle piene che spesso sono molto violente. Quelle buche profonde risultavano molto preziose in estate perché permettevano alla fauna di trovare acque fresche al riparo dal sole cocente e costituivano una buona riserva idrica. Chi scrive ricorda quando da ragazzi ci si recava d’estate al Paglia e ci si tuffava dai cestoni nelle acque profonde e pulite. Oggi il fiume non ha più l’alternanza di buche e di raschi, ma è tutto un raschio con alta velocità delle acque ed assenza di tratti di quiete, ideali per la fauna e la microfauna. La mancanza di acque profonde, inoltre, espone i pesci agli uccelli predatori. A peggiorare la situazione della popolazione ittica, si è recentemente affiancato il siluro che ha praticamente annullato la specie cavedano, problema questo della sovrappopolazione del predatore che nessuno ha mai affrontato La mancanza di manutenzione dell’alveo fluviale lo rende intasato dagli inerti e dalla crescita incontrollata della vegetazione, fattori entrambi che espongono i territori in cui il fiume scorre al devastante pericolo delle alluvioni. Non si può far diventare il corso di un fiume un vero e proprio bosco, come testimonia una delle foto allegate scattata all’altezza della confluenza del Chiani con il Paglia e che risale ai periodi antecedenti la disastrosa alluvione del 2012: in essa si vede la passerella di Ciconia quasi invisibile per l’eccesso di vegetazione che di certo non avrebbe contribuito al deflusso delle acque in caso di piena, come si è poi verificato.Dal punto di osservazione di noi pescatori, che paghiamo una tassa annua, si notano una serie di carenze, quali la totale assenza di ripopolamenti del fiume, una volta molto consistenti, il mancato rinnovo della carta ittica in base alle zonazioni, la perdita in un colpo solo dei due importanti campi di gara dell’orvietano, il Laghetto del Parco Urbano e il tratto a valle del ponte dell’Adunata, entrambi veri fiori all’occhiello e che non sono più stati ripristinati. Si sperava nei Contratti di fiume ma sembra che anche questi siano rimasti lettera morta. Quale futuro attende li “nostro” Paglia?
Renato Rosciarelli

 

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